
Per molti il lockdown è stato un’opportunità per rinsaldare i legami familiari. Ma più spesso la vicinanza forzata ha anche incrementato i conflitti e portato alla luce nuove e antiche fragilità
Da un anno a questa parte la vita di tutti noi ha subito un cambiamento più che repentino: in Italia, come in tutto il mondo, è scoppiata la pandemia e niente è stato più lo stesso.
Abbiamo iniziato ad avere paura: paura di ammalarci, paura di contagiare le persone più fragili della nostra famiglia, paura che il nostro sistema sanitario collassasse, paura delle difficoltà economiche conseguenti alle chiusure forzate delle attività lavorative.
Sono arrivate le prime restrizioni e la chiusura di scuole, università, varie attività commerciali, lo smart working e uno dei grandi sforzi che ci è stato chiesto di fare è stato quello di passare da una modalità relazionale caratterizzata da una vicinanza fisica, a una in cui questa era proibita o descritta come rischiosa.
D’improvviso ci siamo trovati costretti a condividere uno spazio spesso piccolo e un tempo speso dilatato. Abituati fin da bambini ad avere una giornata piena di impegni, correndo tra una attività ed un’altra, da un momento all’altro è arrivato lo stop.
Il coronavirus ha cambiato la nostra vita quotidiana, la nostra routine, costringendoci a piccoli e grandi sacrifici per la salvaguardia del bene collettivo. E in questo tempo ciascuno di noi, ciascuna famiglia, ciascuna coppia si è trovata a vivere la propria sfida. Ogni “sistema” infatti è stato messo alla prova dalla convivenza forzata, si sono rotti gli schemi delle nostre vite e siamo stati costretti a confrontarci con le nostre relazioni familiari. L’equilibrio relazionale viene spesso raggiunto quando i tempi di ciascuno sono bilanciati con i tempi dedicati alla relazione di coppia e alle relazioni familiari. Secondo il pensiero clinico dello psichiatra e psicoterapeuta francese Philippe Caillé, una coppia funziona quando 1+1=3.
Questa strana espressione matematica fa però ben comprendere come una coppia possa funzionare se l’unione di due individui permette a entrambi di mantenere degli spazi di individualità e contemporaneamente consente di costruire insieme uno spazio più esteso, lo spazio della coppia. Lo stesso ragionamento può essere fatto, ed è altrettanto valido, in riferimento alle relazioni familiari.
Per alcune coppie e famiglie la situazione di lockdown è stata vissuta come una risorsa. Sul web in questi mesi è circolata una vignetta di un adolescente che dichiara:
È caduta la connessione e ho incontrato alcune persone che mi stanno simpatiche e che girano per casa mia, dicono di vivere con me e di essere i miei familiari
Infatti qualcuno ha vissuto la coppia e la famiglia come un rifugio sicuro, che mai come in questo momento ha creato un riparo dai pericoli di un mondo esterno descritto come pericoloso. La convivenza forzata può così aver rinsaldato il rapporto di coppia e i legami familiari, ma, in taluni casi, può aver messo a nudo le sue fragilità. La convivenza costante, la co-gestione della quotidianità, fatta di desideri personali, necessità di coppia, bisogni familiari e impegni lavorativi, ha messo in crisi coppie collaudate e famiglie armoniche, ed è diventata esplosiva per le coppie e le famiglie che vivevano già di incomprensioni, tensioni e allontanamenti prima della pandemia.
Secondo l’Ami, Avvocati matrimonialisti italiani, nel 2020 ci sono state un 30% in più di richieste di separazioni di cui la metà giudiziali, un aumento del 20% dei femminicidi e un aumento del 70% di violenze all’interno della famiglia.
Aggiungiamo a tutto questo una ipervalutazione del periodo precedente la pandemia di cui si parla, anzi si favoleggia, come di un’età dell’oro in cui tutti socializzavamo allegramente, facevamo sport, frequentavamo cinema, teatri, concerti, figli felici, scuole meravigliose e così via. Un mondo da Mulino Bianco che non è mai esistito, molto meno sereno e vivace di quanto ora crediamo di ricordare, ma era il nostro mondo nel bene e nel male, certamente più libero e spesso meno inquietante di quello nel qual viviamo da oltre un anno.
In questo anno di faticose prove e ridefinizione dei confini di ciascuno, anche noi mediatori familiari, professionisti che sostengono i genitori in una fase già molto delicata come quella della separazione e del divorzio, abbiamo riscontrato un aumento delle richieste di aiuto e sostegno.
Il rispetto dei tempi da trascorrere con i figli, la loro sicurezza e l’esigenza di garantire sicurezza alle persone anziane che in alcuni casi vivono con un figlio, la condivisione delle modalità di attuazione e rispetto delle limitazioni imposte per contenere la diffusione del coronavirus sono alcuni dei temi attuali attorno ai quali si esplicita il conflitto genitoriale, portando frequentemente ad accese battaglie, a sterili muro contro muro.
Dice il papà di L., in un colloquio di mediazione, rivolto alla mamma di L.: “Come sempre fai ciò che vuoi, hai lasciato che nostro figlio andasse al parco con gli amici e un pallone, senza pensare che poi stasera la trascorrerà a casa mia con mia madre ottantenne. Ma dove hai la testa? Cosa insegni a tuo figlio? D’ora in avanti, a meno che tu non gli faccia poi fare un tampone rapido – e visto che sei tu che lo mandi in giro il tampone te lo paghi da sola – io non lo prendo più!”.
Sono molti i genitori in mediazione che stanno cercando faticosamente nuove organizzazioni, nuovi equilibri, nuovi spazi: la loro creatività e capacità di collaborare e comunicare, l’esempio e la concretezza delle loro azioni, sono e saranno la vera occasione per mostrare ai loro figli che le emergenze ci possono mettere in ginocchio, ma che come i centometristi che partono in ginocchio ai blocchi di partenza, anche tutti noi possiamo fare uno scatto in avanti nella consapevolezza che, se quella stessa emergenza viene affrontata insieme, come genitori, allora si è più forti.
Presidente Associazione GeA Genitori Ancora