
Riflessioni sull’omicidio di Giulia Cecchettin.
Condivido quanto ha scritto su Repubblica Michele Serra a proposito dell’omicidio della giovane Giulia e riporto le prime righe del suo pezzo: “È sempre sbagliato fare una graduatoria del dolore, ma questa Giulia uccisa quando stava per laurearsi, dunque quando stava per diventare più Giulia, più autonoma e più libera, è una cosa che sbriciola il cuore”.
Ed è proprio questo dolore che sbriciola il cuore che mi stava inducendo a non parlare di questo argomento. Si chiama “rimozione”, forse, e io lo avrei volentieri, vigliaccamente rimosso.
Ma, proprio grazie a quel breve articolo di Serra, mi sono reso conto che se Laboratorio Adolescenza fosse rimasto in silenzio, noi che da anni studiamo i comportamenti degli adolescenti, sarebbe stata una sorta di diserzione.
In questi mesi, andando in giro per l’Italia a presentare il mio libro Adolescenza Nonluogo, alla fine, con i presenti, in gran parte genitori angosciati, mi trovo a parlare di cosa si può fare per affrontare questa sorta di nichilismo che sembra avvolgere gli adolescenti, che spesso sfocia in depressione, autolesionismo, violenza. E allora cito spesso lo psicologo ed antropologo francese Daniel Marcelli che imputa molta della violenza adolescenziale ad un deficit nel riuscire a vivere e a superare le frustrazioni. Deficit che deriva – cito sempre Marcelli – dalla mancanza, da parte dei genitori, di quel “no limitante” che insegna, appunto, a vivere e a superare la frustrazione senza violenza, agita contro sé stessi o contro gli altri.
Le età della vita sono tutte, in qualche modo, propedeutiche a quelle che vengono dopo e se un bambino, un preadolescente, non impara a “perdere” a “rinunciare” a infrangersi contro un “no limitante”, quando i suoi interlocutori non saranno più i genitori protettivi e il contesto non sarà più quello vellutato della sua casa, alla prima frustrazione rischierà di crollare vivendola come una inaccettabile minaccia a sé stesso.
Ma secondo voi le crisi di panico e i crolli psicologici, a scuola, per una verifica che va male sono davvero conseguenza di una scuola troppo esigente? E gli adolescenti, tanti, che si suicidano o tentano di farlo per un insuccesso scolastico? Sempre colpa della scuola? Domande retoriche ovviamente, perché la risposta la sappiamo tutti.
Nella tragedia di Giulia si sottolinea – e questo atterrisce ancora di più – come l’assassino sia un ragazzo “normale”. A parità di dolore, perché come dice Serra non si può fare una graduatoria, probabilmente saremmo grottescamente più confortati se l’assassino fosse, invece, un personaggio borderline, un bullo conclamato (come dice Serra), perché questo ci consentirebbe di allontanarlo un po’ di più dall’immaginario che ci costruiamo dei nostri figli ai quali non siamo stati in grado di dire un “no”. E magari forse qualcuno potrebbe addirittura azzardare un “liberatorio” ma un po’ se l’è andata a cercare.
E invece niente, l’assassino non ci da nessun appiglio per distinguerlo dai nostri figli, bravi e studiosi, e ci sbatte in faccia la realtà che stiamo vivendo.
La frustrazione per una ragazza, più brillante di te, e che per di più ti lascia, porta dritti ad ucciderla e – effetto collaterale – a rovinarti la vita. Non so se indagini e perizie dimostreranno che il presunto (così è tranquillo anche il “ministro”) assassino fosse in realtà una persona psicolabile e a rischio, ma in ogni caso sarebbe saggio iniziare a guardarci intorno, a guardarci in casa, con maggiore attenzione.
La responsabilità penale è ovviamente individuale, ma per un caso del genere non guasterebbe una collettiva chiamata in correità morale per aver costruito una società che va alla deriva e sembra incapace di invertire la rotta.
Perché purtroppo non è un problema di pene o di leggi, ma di cultura; di quella cultura mai come oggi tanto vilipesa.
Presidente Laboratorio Adolescenza