
Nel saggio di Gianna Fregonara e Orsola Riva una chiave di lettura del pianeta scuola in Italia.
Come sta la scuola italiana? «Certo, se la giudichiamo con il metro dei test Invalsi e delle altre rilevazioni internazionali c’è ancora molta strada da fare, ma resta più che competitiva con il sistema privato, che in altri Paesi invece ha preso il sopravvento. Negli ultimi decenni si sono perse molte occasioni per rinnovarla e le sue qualità oggi non bastano più a preparare gli studenti alle sfide della quarta rivoluzione industriale e al salto nel buio nel pianeta dell’intelligenza artificiale», si legge sulla quarta di copertina di “Non sparate sulla scuola”, il recentissimo saggio di Gianna Fregonara e Orsola Riva per i tipi di Solferino.
L’ennesimo processo al sistema scolastico italiano o l’innesco di una nuova lapidazione mediatica? Al contrario. Queste constatazioni sono la premessa, lucida e necessaria, all’invito a compiere un viaggio dentro la scuola di oggi, con le sue eccellenze e le sue contraddizioni, attraverso le storie e i volti di studenti e insegnanti e le analisi di esperti, nel tentativo – riuscito, anche grazie al supporto dei dati e al conforto di molti esempi – di sfatare pregiudizi e andare oltre tanti luoghi comuni. Un invito al quale è moralmente difficile sottrarsi se si considera che a scuola – per quanto sia invecchiata e a corto di risorse – ogni mattina nove milioni di bambini, ragazzi e adulti dai 3 ai 65 anni si danno appuntamento per «sfregare i loro cervelli l’uno contro l’altro», per dirla con Michel de Montaigne, in modo da imparare ogni volta qualcosa di nuovo.
Qual è, allora, la missione della scuola nella società del nostro presente? E in quella del futuro prossimo? Fregonara e Riva ci dicono anche che a breve i nove milioni di oggi non saranno altrettanti: l’inverno demografico, dopo aver svuotato le culle, sta svuotando anche le aule. Ma proprio perché nei prossimi dieci anni la scuola avrà un milione e mezzo di studenti in meno (e le proiezioni indicano che tra meno di vent’anni anche all’università ci saranno 78.000 matricole e 390.000 iscritti in meno rispetto agli attuali), l’unico modo per evitare che la combinazione di abbandono scolastico, bassa scolarizzazione e carenza di laureati si trasformi in una miscela esplosiva tale da compromettere le potenzialità di sviluppo dell’intero sistema Paese è aumentare le possibilità di successo per quel bene sempre più raro e prezioso che sono i giovani.
Le autrici citano, tra le altre, l’esperienza di Eugenia Carfora, dirigente scolastica di un istituto tecnico professionale di Caivano, che i suoi studenti non li aspetta a scuola: va a cercarseli, uno a uno, per strada, in piazza, nei bar… Proprio come faceva con i suoi scolari di Corzano il maestro elementare Marco Tullio Sperelli – alias Paolo Villaggio – nella trasposizione cinematografica di “Io speriamo che me la cavo”, prezioso volumetto proposto da Marcello d‘Orta nel 1990. Se la caverà la scuola italiana, nonostante tutto? Gianna Fregonara e Orsola Riva sperano, o quanto meno non gettano la spugna.