
Indagine nazionale Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia 2023. Primi risultati.
Un futuro incerto, quello che vedono gli adolescenti, in cui temono innanzi tutto degrado ambientale, guerre e catastrofi naturali indotte dall’uomo. Sempre più “social” nella loro vita e soprattutto una dipendenza psicologica sempre maggiore da influencer e fashion blogger che rappresentano i modelli da seguire ad ogni costo. La scuola la vorrebbero ovviamente in presenza, ma in grado di utilizzare al meglio la tecnologia di cui oggi si dispone e, soprattutto, in grado di trattare in modo sistematico argomenti per loro di grande interesse (primi tra tutti educazione sessuale e sostenibilità ambientale). Google, Instagram e Tik Tok le nuove fonti di informazione, con buona pace dei giornali (cartacei e online) ed anche della televisione.
Presentati oggi – martedì 4 luglio – i primi risultati dell’indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia – edizione 2023 – realizzata annualmente da Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD, con il supporto operativo di Mediatyche s.r.l., su un campione nazionale rappresentativo di 5670 studenti tra i 13 e i 19 anni.
“Dopo gli anni del Covid ed un sostanziale ritorno alla normalità – spiega Maurizio Tucci, Presidente di Laboratorio Adolescenza – il principale obiettivo dell’indagine di quest’anno era cercare di capire come gli adolescenti vedessero il futuro. Se le nubi portate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, che avevano inciso molto sul loro “mood”, si stessero diradando. Purtroppo il pessimismo permane: il 52,4% vede il futuro incerto e preoccupante; permane quel diffuso senso di tristezza (che nelle ragazze sfiora l’80%) che non può essere derubricato a fenomeno normale per l’età; continua ad aumentare lo “schiacciamento” sui social, con modelli di riferimento pericolosamente individuati negli influencer di turno. La domanda che però dobbiamo porci – sottolinea Tucci – è se sia ragionevole attribuire le colpe al Covid, come spesso facciamo, o non sarebbe più responsabile, da parte di noi adulti, ammettere che questo malessere giovanile ha radici molto più profonde, generate dal contesto sociale che NOI abbiamo costruito intorno a loro e che i due anni di pandemia hanno soltanto portato in maggiore evidenza”.
“Se l’emergenza Covid sembra superata, gli adolescenti continuano a mostrare evidenti segni di disagio che ci preoccupano. La ricerca – afferma Paolo Paroni, Presidente di Rete ITER-Istituto IARD – è certamente uno strumento importantissimo per fotografare ed analizzare la situazione, ma trova effettivo compimento solo se si traduce in interventi e politiche finalizzati a garantire alle nuove generazioni un contesto sociale in cui vivere adeguato alle loro esigenze e ai loro obiettivi futuri. Con questo obiettivo Rete ITER progetta e propone alle Istituzioni interventi concreti e misurabili a favore dei giovani.
Se dal quadro generale emerge come timori e speranze riferite al futuro appaiano assai visibili – commenta Carlo Buzzi, sociologo dell’Università di Trento e Direttore scientifico dell’indagine – è altrettanto vero che si distribuiscono in modo non sempre omogeneo tra i giovani adolescenti. La variabile che più delle altre appare condizionante è il genere. Le ragazze, molto di più dei coetanei maschi, appaiono consistentemente più riflessive. Ciò si riverbera sul concetto di futuro personale che i maschi vedono con un ottimismo un po’ superficiale, mentre le femmine si dimostrano assai più preoccupate. Eppure nel contempo le ragazze appaiono più disponibili a mettersi in gioco. Lo si vede, ad esempio, con la loro maggiore propensione ad affrontare gli studi universitari e ipotizzare nel loro futuro un trasferimento all’estero. Dalle une, quindi, più ansia e insoddisfazione, ma anche maggiore maturità, dagli altri più spensieratezza ma anche una certa sottovalutazione del rischio.
E il cielo è sempre… meno blu
Futuro incerto e preoccupante per il 52,4% degli adolescenti, con le ragazze che arrivano al 58,6%. Gli ottimisti e fiduciosi si fermano a sfiorare il 47%. Un dato assolutamente allineato con quello registrato nell’indagine dello scorso anno quando la pandemia era ancora all’ordine del giorno e la guerra in Ucraina era appena iniziata.
Quello che spaventa di più, riguardo al futuro, sono il progressivo degrado ambientale e le catastrofi naturali anche prodotte dai comportamenti umani (80%), mentre guerre ed epidemie (nonostante tutto) preoccupano meno (74 % e 61,7%). Un cambio di atteggiamento drastico considerando che solo lo scorso anno guerra e pandemia erano le preoccupazioni maggiori. Sul fronte opposto l’unica certezza positiva che il futuro sembrerebbe garantire è la cura delle malattie (90,8%).
“La memoria breve, anzi brevissima, è una delle caratteristiche che connota non solo gli adolescenti ma tutta la società odierna – commenta Fulvio Scaparro, psicologo dell’infanzia e dell’adolescenza e referente dell’area psicologica di Laboratorio Adolescenza – Una capacità sconcertante di voltare pagina e rimuovere il passato anche recentissimo o nemmeno passato (come la guerra in Ucraina, i femminicidi, la condizione dei migranti…). Se il futuro è ovviamente sempre un’incognita, la rimozione del passato, e quindi dell’esperienza vissuta, che sono le fondamenta del futuro individuale e collettivo, non promette niente di buono.
Causa o effetto – non si sa – di questa visione certamente non ottimistica del futuro, il 64% (80,1% delle ragazze) si sente (spesso o qualche volta) triste. Per il 35% i momenti di tristezza sono aumentati rispetto al passato e per un ulteriore 15% sono diventati più altalenanti. In aumento anche, rispetto allo scorso anno, la percentuale di adolescenti che conosce coetanei (amici e/o compagni) che compiono atti di autolesionismo (38,2% vs 31,8%). [per ragioni di privacy non è stata posta la domanda diretta]
Sul fronte della percezione del proprio corpo, il 40,3% (51% delle ragazze) non è soddisfatto del proprio aspetto fisico e l’insoddisfazione aumenta all’aumentare dell’età. Un dato sostanzialmente stabile nel tempo, ma cambia, rispetto al passato, il fatto che a “dettare le regole” per decidere se piacersi o meno sono gli amici (lo afferma il 47%), ma soprattutto influencer, fashion blogger, pubblicità, moda, che condizionano oltre il 72% dei giovanissimi. Ed è anche interessante osservare che, mentre tradizionalmente sono sempre state le ragazze a subire maggiormente l’effetto di giudizi e modelli esterni, ad influencer & C è sensibile anche un’ampia maggioranza di maschi (62%).
Un fenomeno nuovo che Alessanda Marazzani, psicologa e membro del consiglio direttivo di Laboratorio Adolescenza, spiega parlando di una sorta di “annacquamento”, certamente estetico ma non solo, delle differenze di genere: “Un fenomeno che non ha alcuna attinenza con il mondo LGBT e l’identità di genere, ma che – basta vedere le pubblicità della moda – tende ad uniformare l’immagine estetica di maschi e femmine. Da qui un’attenzione mai registrata prima, da parte dei maschi, all’aspetto estetico e quindi al giudizio sul proprio aspetto fisico.
Il mondo attraverso i social
Per informarsi su ciò che accade nel mondo solo poco più del 3% degli adolescenti utilizza i tradizionali giornali cartacei. Va un po’ meglio, ma neanche tanto, per i giornali online (20,7%), ma la rassegna stampa dei teenager è tutta Internet e social: Google, Instagram, TikTok e YouTube. Anche la TV è ormai frequentata da meno della metà degli adolescenti (tabella 1). Lo “scrollare” sui social – che ovviamente propongono una selezione già orientata ai propri “gusti” – dà la news e poi, in caso interessi approfondire, c’è YouTube ma, innanzi tutto Google.
Google è una sorta di “oracolo” dei nostri giorni che ha risposte per tutto a patto di essere in grado di separare la farina dalla crusca. Ma loro, i rappresentanti della generazione Z, giurano di saperlo fare. Mentre TikTok, sempre più utilizzato (siamo passati dal 28,7% di utilizzatori nel 2020 al 73,3% di oggi), anche i ragazzi sanno che sul versante news va preso un po’ con le pinze, perché le“fakes” sono tante. Facebook semplicemente “non c’è più”: lo utilizza solo il 17,5% (era il 65% nel 2014 e il 33,8% nel 2020).
Tranne Facebook, tutti gli altri social più importanti crescono, da Pinterest (specie tra le ragazze) a Twitter, da Snapchat a Telegram: segno evidente che sta costantemente aumentando il tempo dedicato a questi strumenti (tabella 2). L’unico social dal quale gli adolescenti restano comprensibilmente distanti è LinkedIn, mentre preoccupa l’incremento di OnlyFans (una sorta di TikTok senza censure) dove è possibile postare e vedere (a pagamento) contenuti ad esplicito riferimento sessuale. Lo frequenta abitualmente il 7,5% dei nostri teenagers (12,5% dei maschi), mentre nel 2020 la percentuale era sotto l’1%.
Non è vero che i ragazzi siano “disinformati” – afferma Riccardo Renzi, giornalista, direttore responsabile di Laboratorio Adolescenza Magazine –. In realtà, come gli adulti, non hanno mai avuto a disposizione, nella storia, così tante fonti informazione. È vero invece che vivono sempre più appiccicati agli smartphone, come del resto gli adulti. In realtà quindi non sono i ragazzi che sono cambiati, è il mondo dell’informazione attorno a loro che è cambiato. E in questo mondo nuovo hanno giustamente le loro preferenze, che la ricerca decisamente conferma: Google e i Social, con la TV relegata sempre di più all’intrattenimento e il declino che appare inarrestabile dei quotidiani tradizionali, anche online. Difficile comprendere gli sviluppi, ma è con questo universo informativo che dobbiamo confrontarci, per tentare di contrastarne gli effetti negativi.
La scuola del futuro: nuove tecnologie, educazione sessuale e rispetto dell’ambiente
Che il Covid e la conseguente DAD abbiano inciso negativamente sulla preparazione scolastica ne è consapevole il 68% degli studenti intervistati, ma a differenza – forse – di molti insegnanti che non hanno visto l’ora di smantellare e seppellire Internet e la DAD, l’80,7% degli studenti ritiene – ragionevolmente – che la scuola dovrebbe sempre essere in presenza, ma utilizzando metodi e strumenti innovativi basati essenzialmente sulle potenzialità offerte da Internet. Prendere, cioè, il meglio di quanto sperimentato durante la pandemia per rendere la scuola più moderna. Solo il 10% vorrebbe la scuola vecchio stile mentre l’8% la vorrebbe tutta “online”, ma utilizzando piattaforme e metodi più evoluti di quelli adottati in emergenza durante la pandemia Covid.
E nell’ambito della scuola in presenza, se il 47% ancora preferisce la classe tradizionale (strutturata come è oggi), il 40% punta su classi ad “assetto variabile”: aule e insegnanti dedicati alle differenti discipline con compagni di classe di volta in volta diversi. Così come l’86,6% vorrebbe – nelle scuole superiori – che il piano di studi potesse in parte essere personalizzato con alcune materie scelte dal singolo studente. Qui il richiamo al modello statunitense, conosciuto dai ragazzi attraverso decine di serie televisive ambientate nei college, è evidente, ma il desiderio di una scuola un po’ meno ingessata e più vicina agli interessi degli studenti è più che ragionevole. Tra le “materie” che gli studenti vorrebbero inserire in modo sistematico nel piano di studi (tabella 3) ai primi posti, quasi a pari merito, compaiono “educazione sessuale” e “sostenibilità e protezione dell’ambiente”. Al terzo posto – ma al primo posto secondo le ragazze (84%) – “educazione al rispetto delle diversità (genere, etnia, religione…)”.
Lo sguardo degli adolescenti sulla scuola – commenta Paolo Demolli, professore di filosofia al liceo Giovanni Berchet di Milano – riesce sempre a sorprenderci per ampiezza, lucidità, capacità di articolare prospettive di evoluzione. Da questa indagine il disegno di una scuola nuova emerge con chiarezza nei suoi tratti essenziali: priorità, curriculum di studi, contenuti, organizzazione, strumenti. Naturalmente i ragazzi non possono sapere che per realizzare la scuola del futuro da loro proposta occorrerebbero investimenti sull’istruzione mai visti nel nostro Paese. Forse però iniziano a intuire che il mondo adulto, e la politica in particolare, quando parlano di ascolto e di responsabilità predicano bene, ma razzolano malissimo: e quindi chi dovrebbe avere responsabilità sulla scuola anche questa volta non li ascolterà.
Che farò… da grande
Solo il 34% degli adolescenti pensa che continuerà a vivere nella stessa città o regione in cui vive attualmente. Il 30% circa pensa di spostarsi dall’attuale residenza, mentre la maggioranza relativa vede il suo futuro all’estero (tabella 4). Più orientate allo spostamento le ragazze rispetto ai ragazzi, così come l’idea di lasciare la propria città aumenta all’aumentare dell’età.
Riguardo alla sfera personale, la netta maggioranza (71,1%) “si vede” in un rapporto di coppia stabile e di convivenza/matrimonio, con figli, mentre circa il 10% (più le femmine che i maschi) ha in mente una vita da single.
Notti in bianco
Un’eredità negativa, certamente lasciata dal Covid, è la cattiva abitudine di andare a dormire tardissimo anche se il giorno dopo c’è scuola.
Se ci siamo allontanati dal picco registrato nel 2020-2021 in piena pandemia, siamo distantissimi dai livelli pre-Covid (Tabella 5). La differenza è che, se durante il Covid qualche ora di sonno si poteva recuperare la mattina, perché “andare a scuola” significava alzarsi e – magari ancora in pigiama – accendere il computer, oggi la sveglia è tornata a suonare molto prima.
In più, è elevatissima – rimasta sostanzialmente immutata dai tempi del Covid – la percentuale di chi afferma di fare fatica ad addormentarsi (71,9%). Dove i motivi principali di questa difficoltà vengono indicati nella preoccupazione per la scuola 60,7%; pensieri negativi 58,1%; nervosismo immotivato (57,8%). Ma anche nella “banale” mancanza di sonno (60%). E proprio sulla “mancanza di sonno”, una delle cause che può determinarla è l’utilizzo serale e notturno di smartphone e computer, spesso a letto fino ad un attimo prima in cui decidono di cercare di addormentarsi, perché le stimolazioni luminose e la luce bianca/bluastra dei monitor risultano essere dei forti inibitori della produzione di melatonina che è l’ormone che ci fa addormentare.
Difronte alla difficoltà a dormire – afferma Giovanni Biggio, Professore Emerito di Neuopsicofarmacologia all’Università di Cagliari – se l’obiettivo strategico deve essere quello di cercare ed agire sulle cause e gli stili di vita che determinano la situazione, si deve contestualmente intervenire tempestivamente anche sugli effetti, perché le conseguenze del dormire poco e male si manifestano molto velocemente: dalla stanchezza psicofisica al cattivo umore e alla facile irritabilità, dalla difficoltà nella concentrazione e nell’apprendimento alla perdita di memoria, all’alterazione della capacità decisionale, al calo di interesse per le attività quotidiane. Melatonina (che ripristina e normalizza il “ritmo circadiano” veglia-sonno) e una integrazione a base di estratti di zafferano (che agiscono su irritabilità e cattivo umore) sono due rimedi totalmente naturali ed innocui che possono aiutare a gestire il problema.