
Gli adolescenti hanno mostrato una grande adesione alle compagne vaccinali durante la pandemia. Ma appaiono “distratti” rispetto a quelle previste per la loro età. Perché non ne sono informati.
I dati emersi dall’indagine annuale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia – realizzata nel 2022 da Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD – evidenziano che gli adolescenti, in larga maggioranza, considerano la vaccinazione un importante strumento di difesa dalle malattie infettive. La maggior parte ritiene che sia molto importante vaccinarsi e che tutti dovrebbero farlo, che sia un modo per difendere la propria salute ma anche, e soprattutto, un dovere sociale per proteggere le persone che non possono farlo per motivi di salute.
Va detto, confrontando i dati dell’indagine 2022 con quelli di anni precedenti, che l’evento Covid, con tutto il parlare che si è fatto intorno alle vaccinazioni, ha certamente migliorato il “feeling” tra gli adolescenti e il concetto di vaccinazione in generale. Non a caso, quando la possibilità di vaccinarsi contro il Covid è stata allargata alla fascia di età under 18, l’adesione dei giovanissimi è stata spesso molto più alta e convinta di quelle di tanti adulti.
Questa congiuntura positiva non cancella però alcuni aspetti critici che sarebbe opportuno risolvere. Il primo è che ad eccezione della vaccinazione anti Covid, alla quale i giovani si sono approcciati informandosi direttamente e creandosi una propria consapevolezza, le vaccinazioni sono generalmente vissute dagli adolescenti come qualcosa di eterodiretto.
Ci si vaccina perché qualcun altro (generalmente i genitori) induce a farlo, ma con poca o nessuna personale consapevolezza. E se questo è assolutamente ragionevole per quel che attiene le vaccinazioni della prima infanzia, diventa certamente più discutibile per le vaccinazioni tipiche dell’adolescenza.
Esempio emblematico è che, sempre riferendosi ai dati dell’indagine 2022 di Laboratorio Adolescenza, il 23% del campione (fascia di età 13-19 anni) non sa se ha fatto la vaccinazione contro l’HPV che viene proposta al compimento dei 12 anni. A questa età sarebbe assolutamente auspicabile che quantomeno sapessero e memorizzassero quali vaccinazioni hanno ricevuto e perché.
Così come il 22% non sa se ha ricevuto la vaccinazione antitetanica, per la quale è previsto un richiamo in adolescenza (12-18 anni). Questa “amnesia” non sarebbe irrisolvibile o comunque non possiamo attribuirla ad una distrazione legata all’età – specie se consideriamo che solo l’1,4% non sa se ha ricevuto la vaccinazione anti-Covid – perché deriva probabilmente da una scarsa o poco efficace informazione rivolta in modo specifico ai diretti interessati.
La seconda criticità – più comprensibile, ma ugualmente riferibile ad una carenza di informazione – è che una larga maggioranza di adolescenti ha idee assolutamente confuse riguardo il modo in cui si trasmettono importanti e diffuse malattie infettive e che, di conseguenza, non sa quali comportamenti adottare per prevenirle.
Lo sforzo che dovremmo fare, specie se per ragioni familiari e professionali siamo a stretto contatto con gli adolescenti, è quello di renderci conto che non si può temporeggiare sull’esigenza di fornire agli adolescenti una informazione chiara ed esaustiva, proprio in funzione preventiva.
Molte malattie per le quali abbiamo a disposizione un vaccino (vedi tabella) si diffondono attraverso le vie aeree, attraverso goccioline di saliva e le secrezioni nasali che possono essere disperse con la tosse, con gli starnuti o mentre si parla, propagandosi soprattutto in ambienti affollati (ad esempio meningococco, pneumococco, lo stesso Covid); oppure attraverso rapporti sessuali (ad esempio epatite, papilloma virus). Situazioni che i giovani vivono abitualmente (ad esempio frequentazione di palestre, bar, locali, discoteche, rapporti sessuali con partner occasionali) e che certamente aumentano il rischio di diffusione di malattie: se i ragazzi avessero le informazioni adeguate sarebbero molto più motivati a vaccinarsi, proprio come hanno fatto per il Covid.
Dobbiamo anche superare il tabù – messaggio rivolto essenzialmente alle famiglie – di affrontare argomenti spinosi (primo tra tutti la sessualità) pensando che il non parlarne non induca in tentazione. Non fornire informazioni adeguate a un adolescente ha come pericoloso effetto la ricerca attraverso canali (Internet e i social in primis) che come ben sappiamo sono spesso inattendibili. Infine, condizione necessaria, che vorremmo dare per scontata, ma non sempre sembra esserlo, è che i genitori siano anche loro adeguatamente informati e sappiano quindi dare risposte corrette alle domande dei propri figli.
Pediatri, Membri Consiglio Direttivo di Laboratorio Adolescenza