
Ai giovani bisogna spiegare che ci sono ormai troppi intermediari (piattaforme, social…) tra le fonti delle notizie e i destinatari. A scapito dell’autorevolezza.
Capita regolarmente che nelle redazioni dei giornali si facciano riunioni di brain storming sui giovani lettori. L’ordine del giorno è di solito ampio e forse un po’ vago: si va dalla domanda più impegnativa che riguarda la necessità di mettersi in contatto e attrarre studenti alla fine delle superiori e all’università, visto che saranno sperabilmente lettori se non oggi almeno domani, ad interrogativi più precisi su che cosa leggono i giovani e infine ai modi migliori per raggiungerli.
Domande alle quali finora sono state date in generale risposte poco efficaci, almeno a vedere le abitudini di informazione dei post-adolescenti che frequentano poco i media che definiremmo tradizionali (giornali, radio, tv). Forse eludono il problema principale e cioè: i giovani che cosa trovano interessante quando si tratta di leggere l’attualità?
È vero che sono informati sui grandi temi – dall’ambiente ai diritti – ma l’informazione non è soltanto sapere che cosa succede, è anche approfondimento, riflessione, è collocare i fatti nel contesto, spiegarli e non solo descriverli. E allora, qual è oggi “l’agenda” dei giovani? Perché sembrano ritrovarsi così poco nei media tradizionali, che ormai usano piattaforme e strumenti innovativi per raggiungere i lettori?
Forse proprio qui sta il punto: l’approccio, nel decennio scorso, alle piattaforme online e alle modalità di diffusione delle informazioni in rete, ha compromesso in parte il ruolo che le agenzie informative avevano avuto nel secolo scorso. Accettare un ulteriore intermediario tra le notizie e il lettore, cioè la piattaforma o i social, ha reso meno evidente e, in definitiva, meno importante uno dei principi del giornalismo: quello dell’autorevolezza della fonte delle notizie. Chi è autorevole ora, la piattaforma o la testata giornalistica o l’autore dell’articolo? La confusione dei ruoli non aiuta mai a fare chiarezza. Il problema non affligge soltanto chi informa ma soprattutto chi vuole essere informato.
Nell’epoca in cui le fake news viaggiano in rete ad una velocità otto volte superiore alle notizie verificate – così ci dicono i ricercatori del Mit – forse meriterebbe una maggiore riflessione la circostanza che gli studenti, i giovani in generale, si troveranno a vivere in un mondo in cui l’informazione di qualità potrebbe non essere più un “bene” garantito.
A questo proposito ha detto il direttore del Post Luca Sofri: “Ci sono servizi pubblici essenziali che in molti Paesi del mondo non vengono erogati. In questi luoghi le persone sono abituate al fatto che se si ammalano muoiono, perché non ci sono ospedali e la sanità è pessima, che non c’è un’amministrazione della giustizia equa e affidabile e che, se viene compiuto un sopruso, non ci si può far niente. Noi siamo viziati su molte di queste cose compresa l’informazione. Quello a cui si dovranno abituare i giovani è che l’informazione di qualità non sarà più un servizio essenziale su cui poter contare”. Non è una rinuncia da poco, per i lettori e per le democrazie. Non tutto è ancora perduto e un po’ di tempo per impedire questa evoluzione ancora c’è.
La sfida però passa innanzitutto da un nuovo modello di informazione non basato sui ricavi pubblicitari e sul numero di click, ma anche dalla necessità di mettersi in contatto con gli interessi e le necessità informative degli adulti di domani.
Giornalista Corriere della Sera