
Tocca alle scuole e alla comunità educante ridare senso e valore a relazioni autentiche all’interno dell’ambiente educativo.
Ci risiamo, con l’annosa questione: è utile che i ragazzi usino il cellulare in classe oppure è controproducente?
Con l’ultima circolare del ministro Valditara si è riaperto il dibattito sull’utilizzo di questo dispositivo nella scuola. Peccato che la normativa in vigore prevedesse già dal 1998 e dal 2007 forti limitazioni: “… il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione risponde ad una generale norma di correttezza;… l’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione, configurando, pertanto, un’infrazione disciplinare sanzionabile attraverso provvedimenti orientati non solo a prevenire e scoraggiare tali comportamenti ma anche, secondo una logica educativa propria dell’istituzione scolastica, a stimolare nello studente la consapevolezza del disvalore dei medesimi”. Insomma era tutto scritto già 15 anni fa!
Ogni scuola deve prevedere all’interno del proprio “Regolamento d’Istituto” e nel “Patto di corresponsabilità”, sottoscritto con le famiglie degli studenti, limitazioni nell’uso del cellulare in classe. Quindi non si può che essere d’accordo col ministro.
Allora perché questo proclama di Valditara? Evidentemente il problema è serio, continua a essere presente e le scuole fanno fatica a gestirlo, soprattutto a far rispettare il divieto.
Ho trovato interessante il documento conclusivo della “Indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento” prodotto dalla 7^ Commissione del Senato nel 2021, frutto di un’approfondita disamina e audizioni di esperti.
Il quadro presentato è allarmante e spiega perché abbiamo a che fare con un fenomeno difficile da gestire.
Nei lunghi anni trascorsi da dirigente scolastico di Istituti Comprensivi ho assistito ad un progressivo aumento delle problematiche legate all’uso e abuso del cellulare a scuola. La situazione è diventata ancor più critica dopo la pandemia. Se fino a dieci anni fa lo smartphone entrava a scuola con i ragazzi degli ultimi anni delle medie, oggi fa la comparsa già in terza elementare.
Dobbiamo cominciare a chiederci: se i genitori firmano con le scuole un patto di corresponsabilità con regole condivise, nel quale è previsto il divieto del cellulare nell’Istituto, perché gli stessi permettono ai figli già a 8 anni di portarlo? Perché anche tra il personale della scuola mi capita di dover riprendere docenti e bidelli sull’uso improprio del cellulare? Perché noi adulti predichiamo bene e razzoliamo male? Vogliamo interrogarci se siamo per primi noi a dare il cattivo esempio e fare i conti con una malcelata ipocrisia tra quanto proclamiamo e i nostri comportamenti?
La mia scuola è “mobile free”: ai ragazzi delle scuole primarie e medie è vietato portare il cellulare a scuola; se un ragazzo viene trovato a smanettare con lo smartphone, il docente deve ritirarglielo e consegnarlo in presidenza. Vengono convocati i genitori e il preside lo restituisce dopo apposito colloquio. Succede che alcuni genitori, che non si presentano ai colloqui quando convocati dagli insegnanti per le comunicazioni sul profitto dei loro figli, arrivano invece rapidamente quando si tratta di recuperare il cellulare, adducendo giustificazioni di tutti i tipi!
Con gli studenti delle superiori servono invece specifici incontri di chiarimento all’inizio del primo anno per dialogare sui motivi per cui è opportuno, entrando a scuola, depositare il cellulare nei cassetti personali. Lo stesso dovrebbero fare gli insegnanti e il personale amministrativo, per dare per primi il buon esempio.
Sono convinto che la scuola però, al di là dei divieti e delle difficoltà nella loro applicazione, debba raccogliere la sfida posta da tali comportamenti, dall’uso compulsivo degli smartphone, sempre più onnipresenti e invasivi.
Tutti noi come educatori dobbiamo interrogarci sul perché gli adolescenti preferiscano rifugiarsi nella realtà virtuale del mondo online a cercare un dialogo via etere anziché stabilire un contatto col compagno di banco, o perché nell’intervallo siano ripiegati sul telefonino anziché uscire per incontrare compagni o amici. Sul perché gli studenti debbano comunicare i loro stati d’animo sulle chat invece che con le parole o il dialogo coi pari. Sul perché sentano il bisogno di comunicare le loro emozioni, il loro malessere con un video sui social, sperando che qualcuno lo commenti e gli offra una restituzione virtuale sullo stato d’animo.
Sappiamo che dopo i due terribili anni di pandemia gli studenti, tra i più penalizzati dalle chiusure, sono ritornati in presenza con più fragilità e maggiori difficoltà relazionali. Ancor più risucchiati dal “gorgo della rete”.
Penso che la scuola, gli insegnanti devono riuscire in primo luogo a dar valore alla comunicazione, offrire cioè la parola come strumento per far esprimere ai ragazzi il proprio mondo e spiegare le proprie emozioni. I docenti devono proporsi di rimotivare il valore della parola come via per esprimere sé stessi e non darla oramai per spacciata, finendo anch’essi col rifugiarsi nella comunicazione virtuale davanti ai ragazzi!
Le scuole devono essere in grado di presentare agli studenti ambienti di apprendimento stimolanti e motivanti, all’altezza delle nuove tecnologie, riuscire a essere più attrattive per le nuove generazioni di adolescenti nativi digitali. Gli Istituti devono programmare lezioni interattive, laboratori, aule specializzate, attività creative, lavori di gruppo, valorizzazione delle individualità e finalmente superare la stantia lezione frontale docente-discenti. La scuola della “spiegazione-compiti-interrogazione-voto” ha oramai fatto il suo tempo.
Certo questo richiede un cambiamento culturale e di comportamenti da parte di tutti, investimenti di risorse (PNRR) finalizzate all’adeguamento degli Istituti e delle aule scalcinate, formazione iniziale e continua obbligatoria dei docenti, collaborazione propositiva delle famiglie. Si tratta, a mio avviso, di un passaggio ineludibile se non si vogliono fare solo annunci muscolari e roboanti che sanno di ipocrisia, considerati anche i notevoli tagli alle scuole negli ultimi decenni.
Dobbiamo essere in grado di capire il disagio dei nostri adolescenti e dare risposte che risultino credibili ai ragazzi, non rifugiarci dietro le routine o gli adempimenti burocratici: finire il programma, compilare documenti, dare i voti…
Tocca agli Istituti scolastici, all’intera comunità educante ridare senso e valore a relazioni autentiche all’interno di un ambiente educativo, deputato all’apprendimento qual è la scuola, in cui si adottino stili d’insegnamento significativi e comportamenti coerenti con la missione loro affidata.
Dirigente scolastico