
Riflessioni sul naufragio nel mare della Calabria. Perché il ricordo non si cancelli.
Novantuno cadaveri. Ce li ha portati il mare il 26 febbraio scorso, e tra loro tanti, troppi bambini. Un giorno che sicuramente rimarrà nei ricordi degli italiani. Ricordi che non verranno facilmente portati via dalle onde del mare della Calabria, dove tutto è successo, troppo in fretta per aiutare e troppo tardi per prevenire. Giorno che neanche i sessanta superstiti di questo tragico incidente riusciranno a cancellare dalla propria mente, e dovranno convivere con questo incubo per il resto della loro vita.
Non si sa ancora se ci sono responsabilità di qualcuno. Se la guardia costiera italiana sarebbe dovuto intervenire o meno; se quel vuoto di sei ore – risultato fatale – dal primo segnale di un possibile incidente all’arrivo dei soccorsi poteva e doveva essere colmato da qualcuno.
Ma a parte la questione “burocratica” e gli immancabili scarichi di responsabilità da uno all’altro, di cui siamo veramente stanchi, la cosa peggiore, forse, sono stati i commenti che abbiamo dovuto ascoltare. Commenti inaccettabili in cui si dava la colpa a quelli che sono partiti; alle vittime. Abbiamo ascoltato e letto frasi del tipo: “ma chi li ha fatti partire”, ” io come madre non avrei mai mandato i miei figli”, non solo pronunciate sui social da comuni cittadini, ma anche da autorevoli personaggi politici.
Sono demoralizzata da questi interventi, e mi genera ansia vivere e crescere in una società in cui la morte di tanti migranti viene accettata come qualcosa che comunque può capitare e non vissuta come un fallimento collettivo.
“Nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra” sono le parole di Warsan Shire, che sento il bisogno di ricordare qui per risvegliare un po’ di umanità in tutti quelli che l’hanno persa e si sono abbandonati ai commenti che ho citato.
Non riesco ad immaginare e non augurerei a nessuno la disperazione che ha portato i migranti a salire su quella nave, totalmente consapevoli dei rischi, abbandonando le paure e il disagio, nella speranza di costruire un futuro migliore. E invece, quando il viaggio sembrava ormai finito, quando pensavano che il giorno dopo si sarebbero svegliati in un posto caldo e accogliente, l’imbarcazione ha colpito uno scoglio, distruggendo famiglie e sogni.
Questo incidente è un lutto, lutto non solo nazionale, ma internazionale. Ne parla tutto il mondo, ma davanti alle bare numerate si è presentato soltanto il Presidente Mattarella. Troppo “solo” per farci sperare che qualcosa possa cambiare.
Partendo dalla scuola che forse dovrebbe contribuire di più, di fronte a tragedie del genere, a creare una sensibilità diversa tra i giovani. Nessuno a scuola – ovviamente è la mia personale esperienza – ha accennato all’accaduto: come se nulla fosse accaduto, qui, sulle coste calabresi.
Le uniche persone con cui mi sono confrontata su questa drammatica vicenda sono stati i miei amici, come me, di origini diverse da quella italiana. Forse perché su questo argomento abbiamo una cosa in comune: la paura che sarebbe potuto accadere a nostri familiari e la paura che potrà succedere di nuovo. Non bastano più i commenti razzisti che ti inseguono per anni come prezzo da pagare quando si cercano, altrove, condizioni migliori di vita? Adesso il prezzo è la vita stessa?
Studentessa