
Rileggiamo la lettera di Elena, pubblicata qui accanto, insieme a una specialista di disturbi alimentari, la professoressa Elisa Fazzi, ordinario presso l’Università di Brescia e direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili di Brescia, e presidente della SINPIA – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. E le chiediamo di commentarla per noi
Mi sembra molto bella, in primo luogo, perché questa ragazza ce l’ha fatta. E’ chiaramente un messaggio positivo, di speranza, per tutti quelli che sono alle prese col “mostro”, come lo chiama lei. Ed è particolarmente efficace perché descrive in modo chiaro la realtà di questo disturbo, che è molto frequente e spesso sottostimato dalle famiglie e dalle ragazze che ne sono coinvolte. La storia di Elena rappresenta proprio il riconoscimento di questa realtà, dimostrando che in tal modo, prendendone coscienza, se ne può uscire, soprattutto in un caso come questo in cui la ragazza dimostra capacità di introspezione e riflessione. Fa capire chiaramente che non si tratta di una malattia del corpo, ma dell’anima. Con i comportamenti tipici di questi casi: attività fisica eccessiva, controllo ossessivo del cibo, anche il concentrarsi sullo studio in modo esagerato, che in famiglia sembra un aspetto positivo, ma che è invece un sintomo.
Ma non tutte le ragazze ce la fanno da sole…
Tutte avrebbero bisogno di un aiuto, tutte dovrebbero avere la possibilità di rivolgersi a qualcuno, di palarne. Nella mia realtà professionale, quella ospedaliera, io vedo arrivare i casi gravissimi. Giovani con un BMI (Indice di massa corporea) di 10-11 (la norma va da 18,5 a 25). Nel 60-70 per cento dei casi riescono a uscirne con relativa facilità, soprattutto se le prendiamo all’esordio, con un’alimentazione concordata, vere a proprie trattative fatte di riflessioni e convincimento. I farmaci possono essere utili, ma solo quando il fisico lo consente. La prima fase è la rinegoziazione delle necessità alimentari, utilizzando setting di gruppo e di famiglia. Poi, quando le condizioni fisiche sono garantite, va affrontato il problema psichico che c’è dietro. La terapia è più difficile quando il disturbo si trascina fino all’età adulta, quando cronicizza e diventa più grave. Anche in questi casi se ne può uscire, ma possono essere necessari anni di terapia.
Nella lettera di Elena il parere e i commenti degli altri, familiari o amici, sembrano avere molta importanza…
Questo è il vissuto di chi soffre di questo disturbo, è molto sensibile ai commenti, alle frasi di familiari e amici. Ma non si possono attribuire delle colpe. In realtà di solito si tratta di una proiezione. Nella maggior parte dei casi anzi gli altri, soprattutto i familiari, tendono a sottostimare il problema. Certamente incidono anche i modelli sociali: si è data molta importanza alle mode, all’estetica della magrezza, ai “cattivi” esempi di personaggi famosi. Ma ci deve essere una predisposizione per essere sensibili a queste influenze. C’è sempre un problema della sfera psicologica all’inizio. Nei casi più frequenti si tratta di una psicosi monosintomatica: chi è vittima di questi disturbi è spesso una ragazza intelligente, ma con una dismorfofobia, un’eccessiva preoccupazione per un presunto difetto fisico. E’ un’alterazione dell’esame di realtà concentrato sul proprio aspetto. A volte è accompagnata da una comorbilità di tipo depressivo.
Si percepisce, nello scritto di Elena, anche un certo timore, l’ansia che il “mostro” aggredisca altre ragazze, ma anche che possa ripresentarsi…
L’anoressia è una patologia di genere, cioè è quai sempre legata al sesso femminile. Ed è anche una malattia cronica, che può essere affrontata e curata. Ma è possibile che resti una certa fragilità. Perché in fondo l’obbiettivo della terapia non è sconfiggere qualcosa, ma trovare un equilibrio. Noi non vogliamo che ingrassino, ma che recuperino un’armonia che tenga conto della realtà e della salute.
Si dice che la pandemia abbia provocato un aumento di questi disturbi. E’ così?
Io posso parlare della mia esperienza e osservare che i ricoveri sono triplicati dopo la pandemia. Stiamo cercando di analizzare i dati, ma sembra davvero che tutti i grandi reparti di neuropsichiatria abbiano registrato questo aumento. Il triplo dei casi. E le cause sono intuibili. L’anoressia è un disturbo multifattoriale, ma certamente i lockdown hanno aumentato l’isolamento, hanno spinto a concentrarsi sul cibo, senza vita sociale, ad aumentare l’attenzione all’aspetto alimentare, anche al timore dell’assenza del cibo. Inoltre l’isolamento ha ridotto per lunghi periodi l’accesso alle cure, semplicemente perché era più difficile andare dal medico. E’ molto complessa l’elaborazione dei dati di accesso ad ambulatori ed ospedali per disturbi mentali, ma certamente le tipologie che sono maggiormente aumentate con la pandemia sono i disturbi alimentari e l’autolesionismo.