
Adolescenti asperger e con altri disturbi dello spettro autistico. Come aiutarli a diventare adulti.
L’Autismo oggi viene definito come uno “spettro”. L’uso di tale termine vuole descrivere un fenomeno psicologico complesso, che l’esperienza clinica degli ultimi 30 anni circa faticava ad inquadrare in precise sottocategorie (alto/basso funzionamento, verbale/non verbale, con/senza disabilità intellettiva e così via). Il termine spettro è una definizione “dimensionale” delle caratteristiche che devono convivere in una persona per giungere ad una diagnosi. Alcune di tali caratteristiche sono presenti in vasta parte della popolazione, ma è la concentrazione di esse in un’unica persona, con intensità variabile, ma che necessita comunque di un “sostegno”, che determina quella che si chiama “condizione autistica”. Le caratteristiche, che si manifestano in quantità e qualità diverse, sono principalmente due: “deficit” (meglio, differenze) nella comunicazione (verbale e non) e nell’interazione sociale e comportamenti/interessi “ristretti e ripetitivi”. Accanto a questi sintomi si possono presentare alterazioni sensoriali, selettività alimentare, sviluppo cognitivo “disarmonico”, scarse autonomie personali, autolesionismo, aggressività. Il Gruppo Asperger ONLUS – nato nel 2003 – si rivolgeva a quelle persone che rientravano nella vecchia definizione di Sindrome di Asperger ed ha mantenuto la sua particolare attenzione verso questa parte dello “spettro”, ma ovviamente riconosce e si riconosce nelle definizioni della Comunità Scientifica Internazionale. La sua azione è volta alla promozione dei diritti di tutte le persone autistiche, fin dalla sua fondazione.
Per motivi che si possono definire storici e sociali le diagnosi di Sindrome di Asperger (ancora rarissime) arrivavano solo in adolescenza e per quanto riguardava gli adulti… erano del tutto inesistenti! I fondatori del gruppo erano prevalentemente genitori di adolescenti, quindi. Impantanati in una doppia fase di passaggio, dall’infanzia alla vita adulta e dall’invisibilità alla presenza (il riconoscimento della condizione autistica). L’etimologia della parola adolescenza è di origine latina. Adolescens, participio presente di adolescere, composto dal rafforzativo ad e aler, nutrire. L’adolescente si sta nutrendo, l’adulto (participio passato) si è nutrito. È una immagine bellissima. Una formazione assistita e amorevole (come il nutrimento) avrà come ricompensa una personalità indipendente e autonoma. Ben nutrita. Le cose non vanno così. Per nessuno. Tantomeno per adolescenti autistici. Soprattutto nelle nostre società occidentali, dove le richieste sociali sono pressanti e spingono da una parte ad uniformarsi alle regole del “gruppo” (esplicite e soprattutto implicite) e dall’altra a cercare di emergere in una competizione talvolta persino sfrenata. Non ci sono riti di iniziazione che stabiliscano nulla. Tutto si gioca ogni giorno. Tutto mentre il proprio corpo muta rapidamente e così i suoi bisogni, che diventano impellenti e sembrano indomabili.
Un adolescente autistico è stato un bimbo autistico. Probabilmente, ai tempi d’oggi, ha già ricevuto una diagnosi e intrapreso un percorso educativo specifico. Se è asperger forse se l’è cavata. È stato un bambino strano e bizzarro, ma ha trovato conforto nei suoi interessi “speciali”, nell’amorevole cura della sua famiglia (molto stressata, comunque). Forse quella sua indifferenza verso le regole del mondo esterno lo ha aiutato a proteggersi da esse. Mamma e papà possono essersi impegnati ad organizzare piccoli gruppi di coetanei (con e senza autismo) in cui confrontarsi con loro. Possono anche aver imparato qualcosa su loro stessi e sulla loro condizione. Molto può essere stato fatto.
Ma… anche a chi è andata bene, tocca passare per questo periodo che durerà anni. Talvolta, per sempre. Perché tanti educatori e tanti familiari e tante persone autistiche non riescono a interiorizzare che il bisogno di aiuto e di sostegno (che probabilmente durerà per tutta la vita) non comporta che non possano diventare adulti indipendenti e con una personalità.
Indipendenti non vuol dire saper fare tutto da soli, ma saper chiedere aiuto ove occorra. Vuol dire anche accettare un intervento di sostegno per socializzare, per fare esperienze sessuali ed affettive, per vivere da soli o per imparare a condividere i propri spazi con altri. Probabilmente saranno percorsi accidentati e particolari. Ma bisogna intraprenderli.
La disabilità sociale e il disagio mentale generano ancora vergogna e imbarazzo. Chi non lo vive lo rifiuta. Chi lo vive tende a nasconderlo. Bisognerà tenerne conto, ma un po’ anche fregarsene. L’adolescente autistico va così “nutrito”: molte esperienze (anche assistite, ma bene!), tanta consapevolezza, una buona dose di pride e un pizzico di indifferenza verso quel mondo “normale” che sembra così felice e sicuro di sé. C’è un piccolo segreto che rivelo ai genitori. Rispettare le scelte dei propri figli autistici e aiutarli anche mettendosi da parte. Ricordare il bambino che hanno imparato a conoscere e guardare l’adulto che sta diventando senza rimpianti.
Gruppo Asperger ONLUS