
Un esperto pediatra ospedaliero fa il punto della situazione. Che vede un nuovo boom dei ricoveri ospedalieri per intossicazione alcolica tra i giovanissimi. Disposti a tutto per “sballarsi”.
Rave party, giro delle birrerie, gare di bevute: tutti giochi “popolari” tra i giovani che già prima della pandemia provocavano, soprattutto nei weekend, frequenti ricoveri in pronto soccorso per intossicazione alcolica. Nel 2019, secondo i dati dell’Istituto superiore di Sanità, i “binge drinkers”, cioè quelli che assumono più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve, mescolando diverse bevande, in Italia erano 3,8milioni e gli accessi al pronto soccorso erano stati 43.148 in un anno.
Poi che cosa è successo? È cambiato qualcosa?
Lo chiediamo a un pediatra ospedaliero, particolarmente attento alle problematiche di questo tipo di dipendenza tra gli adolescenti, il professor Giuseppe Raiola, direttore della struttura operativa complessa di Pediatria all’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro.
“Sì, la situazione prima della pandemia era preoccupante, ma sembrava stesse rallentando. Noi, come ospedale, siamo un osservatorio privilegiato per i ricoveri in pronto soccorso. Il fenomeno sembrava stesse cronicizzando. Poi, nei periodi di lockdown i ricoveri si sono fermati di colpo. Ma dopo le prime riaperture la situazione è esplosa. La pandemia ha agito come acceleratore dei problemi di disagio e dei comportamenti a rischio dei ragazzi, anche per l’aumento di ansia e di insicurezza che ha comportato. Secondo una ricerca di Stefano Vicari del Bambin Gesù di Roma si verifica un incremento del 30% dei problemi psichici in età pediatrica, soprattutto in famiglie disagiate, ragazzi che hanno avuto difficoltà con la Dad. L’aumento di consumo di alcolici è connesso”.
Eppure le chiusure dei bar hanno bloccato le sbronze di massa…
“Certamente, ma si è verificato un altro fenomeno, quello delle bevute solitarie o magari in conference online, che forse è peggio. Secondo i dati di Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Istituto superiore di Sanità, nella fascia 18-24 anni c’è stato un aumento del 240% di quelli che hanno cominciato a bere, e certamente è alta la percentuale anche tra i minorenni. Il problema è che l’alcol è la droga più facile da reperire, diverse inchieste dimostrano un forte aumento di acquisto degli alcolici, anche online e attraverso i delivery. Insomma è girato molto più alcol nelle case e i ragazzi ne hanno approfittato, sperimentando anche nuove “associazioni”: nelle case, per gli stessi motivi, è aumentata anche la circolazione dei farmaci ansiolitici, cioè le benzodiazepine. Non c’è voluto molto per pensare di usarli insieme.”
Quindi dopo le riaperture, come diceva, i ricoveri sono esplosi…
“Non abbiamo ancora dei dati consolidati, per ora posso solo riferire dell’esperienza sul campo. Siamo tornati ai numeri prepandemia e forse qualcosa di più. Con alcune tendenze preoccupanti: aumentano i casi in cui l’alcol è associato a varie droghe e ai farmaci, il che aumenta il rischio. E si conferma un fenomeno già presente prima del Covid: l’età sempre più bassa degli appassionati di binge drinking. Ormai non sono rari i casi di ragazzi e ragazze di 11-12 anni. Sono poi arrivate nuove “mode” quasi incredibili: c’è per esempio una sfida, che si chiama eyeballing, che consiste nel versarsi la vodka negli occhi come un collirio. Analogamente le ragazze si sottopongono a un’altra “prova di coraggio”: inserire un assorbente imbevuto di superalcolico. Che senso ha? È un fatto che il dolore provoca effettivamente un aumento delle endorfine, la morfina naturale. Sono pochi casi ovviamente, ma non isolati, e danno comunque un’idea di dove riescono a spingersi per “sballare”.
Quali possono essere le conseguenze di questa situazione sui ragazzi?
“I problemi causati dal consumo cronico di alcol sono noti: danni al metabolismo del fegato e danni cerebrali. Nei giovani questo si traduce soprattutto in disturbi dell’umore e diminuzione della resa scolastica. Il binge drinking poi, a parte le intossicazioni acute, comporta il rischio di incidenti stradali, che resta la prima causa di morte tra i giovani.
Che cosa si può fare?
“È difficile trovare adeguate contromisure, anche perché spesso non capiamo nemmeno quale sia il problema: alcol, altre droghe, disturbi psichici spesso si mescolano. Per quel che riguarda l’alcol io penso che debba prevalere il buon senso. Io non sono un proibizionista totale, non credo ci sia niente di male che un adolescente beva mezzo bicchiere alla festa di famiglia. Ma proprio la famiglia è il primo fronte in cui intervenire, con l’informazione e il buon esempio. Purché poi la famiglia non si illuda che i ragazzi non siano portati ad emulare il gruppo, a partecipare alle bevute sociali. E dove non può la famiglia devono intervenire altre agenzie. Occorre più informazione, se si vuole che bevano “consapevolmente”. E occorre meno spinta da parte della pubblicità verso il consumo di alcol.
Pubblicità regresso
Nei primi anni ’90, in Australia, le autorità erano molto preoccupate per le “stragi del sabato sera”. Si decise allora una campagna di prevenzione e fu realizzato uno spot, poi diffuso da tutte le Tv, che prendeva spunto da una famosa sequenza del film Gioventù Bruciata, in cui James Dean partecipava al cosiddetto “gioco del coniglio”, una sfida in cui due auto si lanciavano alla massima velocità contro un ostacolo o verso un precipizio, e vinceva chi frenava o si buttava fuori dall’auto per ultimo. Le immagini dello spot si soffermavano con duro realismo sui corpi sfracellati, per ottenere un effetto di disgusto. Il risultato di quella campagna pubblicitaria, fu che i giovani, che non avevano mai visto Gioventù bruciata, trovarono divertente quel gioco pericoloso divulgato dalle Tv nazionali. E presto, come capita oggi a certe sfide social, divenne una moda. Il risultato fu che aumentarono i morti in incidenti stradali.
È un caso paradigmatico di come possa essere insidiosa la comunicazione sulla prevenzione e soprattutto quanto sia difficile parlare ai giovani di salute. Siamo sicuri, per esempio, che quando parte lo slogan “Bevi consapevolmente”, foglia di fico di molte pubblicità di alcolici, non ci si fermi alla prima parola? E va bene a tutti che gran parte degli eventi sportivi e musicali siano sponsorizzati da bevande alcoliche, contenenti cioè la sostanza che secondo l’OMS è responsabile del maggior numero di morti (5,3% dei decessi) al mondo? C’è forse qualcosa che non funziona. D’accordo che comunicare, in questo campo, è difficile, ma non possiamo non notare la totale assenza di qualsiasi forma di “pubblicità progresso”, mentre decine di spot promuovono allegre bevute.
Quella che è stata unanimemente riconosciuta come la più efficace campagna di prevenzione mai condotta in Italia, quella contro il fumo, è stata basata su tre pilastri: tasse elevate sul prodotto, divieti stringenti di consumo nei luoghi pubblici, proibizione assoluta di pubblicità diretta e indiretta. Al punto che al cinema non fuma più nessuno, nemmeno gli attori sullo schermo. Certo, i medici pensano che si fumi ancora troppo e che tra i ragazzi l’abitudine stia riprendendo. Ma non c’è dubbio che si sono ottenuti risultati concreti.
E per l’alcol? Le tasse sono basse, in Italia e in Europa in generale. La legge che vieta la vendita ai minori è “la più disattesa d’Italia”, secondo Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol.
Le regole che limitano la pubblicità sono invece risibili, oltre che ampiamente obsolete: in pratica si vieta la pubblicità associata ai programmi per bambini in certi orari, come se esistesse ancora la Tv dei ragazzi.
Sui pacchetti di sigarette vediamo foto di polmoni cancerosi. Ve l’immaginate un fegato spappolato sull’etichetta di un buon rosso? Però non possiamo continuare a far finta di non sapere che l’alcol uccide più del tabacco. E che le prime vittime sono i nostri ragazzi, spesso inconsapevoli e quindi irresponsabili.