
Dopo le elementari, sembra che la scuola faccia di tutto per spegnere l’espressione artistica e bloccare la creatività, che coniuga l’intelletto con la fantasia.
Risulterebbe interessante, a proposito della tematica in questione, far svolgere un’indagine da un Dipartimento di Sociologia su come si sviluppa la creatività nell’ambito di ogni espressione artistica per parametrare al meglio, cogliendo quindi le differenze tra arti visive, scrittura, musica, danza eccetera, gli eventuali momenti evolutivi o involutivi nell’età adolescenziale. Ritengo infatti, che tale periodo, collocabile scolasticamente nella formazione secondaria di primo e secondo grado, per quanto riguarda l’espressione artistica visiva, subisca un processo involutivo rispetto alla precedente formazione primaria. Va da sé che quando parlo di espressione artistica non mi riferisco alla capacità di disegnare, dipingere o modellare, bensì alla creatività di tale espressione. Avendo percorso l’iter formativo sia da allievo che da docente, in gioventù quando ancora studiavo in Accademia ho insegnato nei doposcuola delle primarie, poi Educazione Artistica nelle Scuole Medie, in seguito Figura e Ornato al Liceo Artistico e quindi Pittura a Brera, posso tranquillamente affermare che quell’estro presente in ogni persona va di pari passo spegnendosi man mano che gli studi progrediscono. Accade questo a causa di un deficit nella formazione dei docenti che non sono preparati a far sviluppare l’inventiva, quella pratica insomma di creare con l’intelletto e con la fantasia, che potrebbe già originare un seppur primigenio humus linguistico. Quante volte ci è stato detto: “non va bene, si fa così” oppure “cosa sono tutte queste macchie?” o ancora: “hai mai visto un cane con cinque zampe?”.
Ecco, da quel preciso momento inizia l’involuzione e si impara che le linee o il tratteggio vanno espletati in un certo modo, che il colore va steso altrimenti e che da che mondo è mondo i cani, per lo meno originariamente, di zampe ne hanno quattro. Certo a ciò ha contribuito anche un comune, quanto incolto e diffuso senso del gusto, che scevro di conoscenza della storia dell’estetica è orientato a definire bello o brutto un qualsivoglia manufatto artistico. E’ nel corso dello studio terziario che invece assistiamo ad un recupero della propria creatività e dell’interesse verso quella altrui e della storia dell’arte in generale; purtroppo questo la dice lunga sia dal punto di vista sociale – chi non può permettersi di accedere agli studi di alta cultura è forzatamente discriminato –, che da quello politico, in quanto viviamo in un Paese in cui la maggioranza dei nostri rappresentanti in Parlamento è tutt’ora convinta che l’area artistica, in quanto sovrastrutturale, sia improduttiva. Che fare allora? Una mia allieva, assolutamente decisa a intraprendere la carriera di insegnante nella secondaria, ha discusso poco più di un mese fa un’interessante tesi sulla formazione artistica in quel contesto, scandagliandone le lacune e proponendo valide alternative. Che facciamo? Ne mandiamo una copia al Ministro dell’Istruzione?
Non vedo, ahimè, orizzonti di gloria e neanche albe violacee o tramonti verdi come senz’altro sarebbero apprezzati dagli espressionisti tedeschi… mi piacerebbe però che in un immaginifico domani le lezioni di Didattica dell’Arte iniziassero descrivendo i tratteggi vinciani del Codice Atlantico, le colature pittoriche di Motherwell e la proiezione del marchio dell’ENI realizzato nel 1952 dall’artista Luigi Broggini, che, come è noto, rappresenta un cane a sei zampe.
Pittore, Cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Brera