
Dove agiscono le “crisi” adolescenziali c’è sviluppo. E lo sport è terreno di conoscenza e di vissuti condivisi.
Il principe di Homburg sul campo di battaglia
L’opera “Il principe di Homburg”, poema romantico di Heinrich von Kleist, mette in luce alcuni aspetti di odierna riflessione. Il giovane Principe si trovò sul campo di battaglia in Svezia in procinto di dare un ordine di attacco. Questo lo mise di fronte ad un increscioso problema di scelta. Il conflitto che lo attanagliava era se dare spazio alla sua impulsività, che lo spingeva all’attacco, o rispondere con rigida e cieca obbedienza al superiore in carica, che ne promuoveva lo stallo. Il combattersi dello spirito adolescente, sognante e propositivo, contro una natura ponderata più responsabile e disciplinata. Tale disciplina era per il filosofo tedesco Emanuel Kant “la costrizione per la quale la tendenza costante a deviare da certe regole viene limitata e da ultima distrutta”.
La disciplina è come una normalizzazione forzata alla facoltà individuale della libera scelta, in forte contrapposizione ai legami dell’agire, spesso mossi dalle passioni talvolta impulsive, autodistruttive e disgreganti del carattere adolescenziale.
Il confronto con le norme “disciplinate vissute”
In questo lungo periodo di pandemia sono venuti a meno i luoghi di confronto con le norme “disciplinate vissute”, come la palestra di vita e la palestra dello sport, dove ci si allena a dirigere e mitigare gli impulsi adolescenziali. Non più figure direttive, quali trainer sportivi, che obbligano ogni adolescente a misurarsi ed a confrontarsi, a capire cosa gli fa bene o meno bene, e a combattere anche gli slanci più passionali.
Viene così a mancare in chiave pedagogica e clinica quel substrato operativo offerto dai setting prestabiliti a carattere conflittuale. Come può il “Nostro” Principe di Homburg vivere il quotidiano passaggio fra il disagio di contraddire le autorità educative e l’operare per ricercare il proprio benessere? Senza il confronto, la scelta e il “combattere”, non c’è più “crisis”, non c’è più crescita.
La non azione, derivante dalla non operatività, appiattisce il concetto di esplorazione emotiva, di tensione, di percezione dell’errore, eludendo il contatto con l’altrui vissuto con una ricaduta sull’accrescimento etico e morale. Dove agiscono le “crisi” adolescenziali c’è sviluppo. E lo sport è terreno di conoscenza e di vissuti condivisi. Lo sport deve continuare… sempre per il Principe.
Docente Scuola Regionale dello Sport Coni Lombardia