
Già gli adolescenti lo sono per natura. Le restrizioni del Covid e i dispositivi elettronici li hanno trasformati in veri “animali notturni”. Con pericolose conseguenze – spiega uno specialista – psichiche e fisiche, anche gravi.
C’è un virus che provoca insonnia, soprattutto negli adolescenti. E non è il Covid. Si chiama smartphone. E il Covid, con i conseguenti lockdown, le chiusure delle scuole, la didattica a distanza, ne è oggi una concausa.
“Dobbiamo in primo luogo ricordare che l’adolescenza è un momento delicato, anche dal punto di vista della fisiologia del sonno,” dice il professor Luigi Ferini Strambi, neurologo e ricercatore, responsabile del Centro di Medicina del Sonno dell’ospedale San Raffaele di Milano, “perché a quell’età si verifica un cambiamento importante: i ragazzi, diciamo noi, tendono a “gufizzare”. Quando sono bambini tendono ad essere “allodole”, cioè dormire molte ore e svegliarsi presto. Dopo la pubertà, c’è un ritardo, uno spostamento di orario, nella produzione da parte del corpo della melatonina, l’ormone che regola il sonno. E quindi nei tempi di addormentamento. Se a questo ritardo fisiologico si aggiungono attività serali e notturne prolungate ecco che le ore di sonno si riducono drasticamente”.
Lei si riferisce all’uso di strumenti elettronici, tablet, telefonini, all’attività di chat, social network, Internet…
“Certamente. E non è un fenomeno recente. Ho visto aumentare il numero di ragazzi insonni in modo importante negli ultimi dieci anni. Una volta tra quelli che si rivolgevano al nostro Centro gli adolescenti erano una percentuale minima. Poi c’è stata una vera esplosione: attualmente posso valutare che circa il 15% dei nostri pazienti sono giovanissimi. E sono aumentati i casi “estremi”: ci sono molte più segnalazioni di ragazzi che non riescono a dormire fino alle sei del mattino. E questo aumento è certamente un problema comportamentale, legato all’uso di dispositivi elettronici. Va tenuto presente che telefonini e computer non significano solo impegno mentale e nervoso. C’è anche il fatto che la luminosità degli schermi diminuisce la produzione di melatonina”.
Poi è arrivato il Covid…
“Il Covid 19 non ha fatto che peggiorare, inevitabilmente, un problema preesistente. Le restrizioni del lockdown hanno contribuito in diversi modi a incrementare il rischio di insonnia: la ridotta attività fisica, la riduzione delle ore di esposizione alla luce solare, ma soprattutto l’aumento smodato dell’uso di strumenti elettronici nelle ore che precedono il sonno. Uno studio che abbiamo appena pubblicato, che riguarda studenti liceali lombardi (vedi box), indica una relazione molto netta tra queste abitudini e le difficoltà a prender sonno”.
Eppure la didattica a distanza ha “regalato” almeno un’ora in più di sonno al mattino, non dovendo andare a scuola…
“Sì, è così. In un’altra ricerca a cui ho partecipato, che ha confrontato studenti universitari e lavoratori amministrativi, abbiamo trovato tra gli studenti molti “gufi” soddisfatti di non doversi alzare presto al mattino. Paradossalmente il lockdown da questo punto di vista ha aiutato. E peraltro già prima della pandemia si discuteva se non fosse utile ritardare gli orari scolastici. Ma il problema è che di fatto sono aumentate le ore di “lavoro” notturno più che quelle di sonno. Comunque in questa ricerca abbiamo rilevato un impatto del lockdown più forte tra gli studenti che tra i lavoratori, più forte tra le femmine che nei maschi. Dal punto di vista psico-emotivo, un terzo dei soggetti studiati ha mostrato sintomi di ansia e depressione”.
Anche la paura della pandemia, l’ansia, contribuisce all’insonnia?
“C’è certamente anche questo fattore. Ma non dimentichiamo che ansia e depressione sono soprattutto una conseguenza dell’insonnia. L’effetto più visibile è certamente una diminuzione del rendimento scolastico, ma non pensiamo che quello cognitivo sia il problema più grave. Molti studi hanno dimostrato che la riduzione delle ore di sonno può portare disturbi d’ansia e depressivi o una vera e propria depressione. Alcune ricerche asiatiche sugli adolescenti hanno anche individuato una connessione tra insonnia e aumento dei suicidi. È interessante notare che anche tra gli adolescenti sono più colpite le ragazze dei maschi, anche perché l’età puberale è generalmente più precoce”.
Come intervenire allora?
“In generale è bene ricordare che l’insonnia va affrontata subito, anche a questa età, perché sappiamo che la maggior parte degli adulti insonni ha cominciato a soffrirne proprio durante l’adolescenza. Si tratta quindi di prevenire un futuro pieno di problemi. La prima terapia deve essere comportamentale, come le cause. Non deve riguardare soltanto telefonini e computer, ma anche l’alimentazione e in particolare l’uso di bevande a base di caffeina. Poi in molti casi può essere utile l’integrazione di melatonina, per favorirne l’azione. Ma è evidente a questo punto che bisogna intervenire sull’aspetto educativo, i genitori devono diventare più rigidi, non devono tollerare che i figli dormano due o tre ore per notte.
Ne va della loro salute. Ricordare loro, per esempio, che dormire poco compromette anche il sistema immunitario.
Oggi siamo tutti più sensibili su questo aspetto”.
SEDICI ANNI, L’ETÀ DELLA SVOLTA
Gli studi scientifici confermano, come si usa dire.
In questo caso si tratta di uno studio italiano, anzi lombardo, recentemente pubblicato sulla rivista Sleep medicine e realizzato in collaborazione dall’università Vita e Salute del San Raffaele di Milano (Centro Disordini del Sonno), dall’Università dell’Insubria (Ospedale Dal Ponte di Varese) e dall’Institute of Molecular Bioimaging and Physiology (CNR) di Segrate, riguardante le abitudini di sonno di 972 studenti dai 13 ai 19 anni. Le conclusioni sono nette: il sonno degli adolescenti italiani è fortemente alterato dall’uso di strumenti elettronici nelle ore serali.
L’aspetto forse più interessante dello studio è che questo vasto campione è stato analizzato diviso per fasce d’età. Complessivamente i ragazzi giudicano buona la qualità del sonno (oltre l’80%), anche se i più insoddisfatti sembrano essere i sedicenni (73,3%). Per quel che riguarda la quantità invece il sonno è giudicato insufficiente dal 29,3% e questa percentuale media sale con l’età arrivando fino ad oltre il 40% nei diciottenni. In pratica le ore del sonno vanno drammaticamente diminuendo con la crescita. Ma quali sono i problemi di sonno? Più di uno su tre (37,6%) fatica ad addormentarsi e anche questa percentuale sale con l’età. Mentre uno su cinque ha frequenti risvegli notturni e in questo caso i più agitati sono ancora i sedicenni (24,1%).
Ma che cosa fanno, e qui veniamo al punto, prima di riuscire ad addormentarsi? Le attività prevalenti e gli strumenti impiegati si evolvono anch’essi con l’età. Prima di dormire i più piccoli (13-14 anni) giocano soprattutto ai videogame e nell’anno successivo cominciano a usare prevalentemente lo smartphone che hanno conquistato, sia per giocare sia per chattare. Fino a quest’età tuttavia, nella maggior parte dei casi, il sonno non ne risente in modo massiccio. I problemi sembrano emergere, come abbiamo visto, attorno ai 16 anni, quando allo smartphone si aggiunge un tablet e le attività spaziano dalla navigazione su Internet alla lettura e all’ascolto frequente della musica. Successivamente si aggiungono le ore di studio più urgenti (la maturità si avvicina) e via via le ore di sonno diminuiscono, fino alla maggiore età, quando gran parte di queste attività si spostano su un personal computer.
Sulla base dei risultati di questo studio, gli specialisti segnalano come il momento più critico in cui l’adolescente appare più “fragile” e a rischio di sviluppare successivi disturbi del sonno sia attorno ai 16 anni di età. E confermano un fatto già scientificamente accertato: che la luminosità a luce blu degli schermi incide sul sonno diminuendo la produzione di melatonina. Più lo schermo è grande, passando dallo smartphone, al tablet e al personal computer, più piccola è la notte. (R.R.)
Neurologo e ricercatore