
L’educazione all’autonomia e il percorso educativo rivolto agli adolescenti aprono la strada ad un’adultità possibile anche per le persone con disabilità intellettiva.
I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra. Corri e corri con loro fino a restare tutti e due senza fiato…
Come gli aquiloni, essi finiscono a terra…
E tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri che presto impareranno a volare. Infine sono in aria, gli ci vuole più spago e tu continui a darne
(Erma Bombeck)
Ho sempre avuto una passione per gli aquiloni, mi emoziona il loro volo a volte incerto e a volte impetuoso e sono loro grata perché mi fanno alzare gli occhi e guardare in alto. Una passione analoga mi lega agli adolescenti, la voglia di indipendenza e di coccole insieme, la curiosità, la voglia di essere qualcuno che non è più bambino e non è ancora grande. Anche loro mi fanno guardare in alto. Quando nasce un bambino con la sindrome di Down sembra impossibile pensare che anche lui potrà spiccare il volo e forse per molti questo sarà davvero difficile, ma il filo si può allungare e le mani di chi lo tiene diventare disponibili a strappi e scossoni, al cambio di rotta, e lo sguardo può rivolgersi in alto. È questo un po’ lo spirito che anima il lavoro nell’Associazione Italiana Persone Down dove l’educazione all’autonomia ha un ruolo centrale e il lavoro con gli adolescenti ha fatto di questo tema un percorso educativo che ha aperto la strada ad un’adultità possibile anche per una persona con disabilità intellettiva. Fino a non molti anni fa l’idea più diffusa era quella che le persone con SD fossero persone con un ritardo mentale che sarebbero state per sempre dipendenti dai loro genitori. L’immagine ricorrente era quella di un eterno bambino. Oggi è possibile incontrare bambini con SD nelle scuole e ai giardinetti, ragazzi che si muovono da soli fuori casa per incontrare gli amici e qualche adulto sul posto di lavoro. Qualcosa sta cambiando!
Tutto lo sviluppo e la crescita del bambino può essere visto come un graduale passaggio dalla dipendenza verso l’autonomia che diviene completa quando il bambino diviene adulto e cittadino a tutti gli effetti, soggetto e oggetto di diritti, capace di lavorare e di avere rapporti paritari con gli altri. Nella crescita verso l’autonomia però, un bambino con disabilità incontra due tipi di ostacoli: da una parte le difficoltà legate alla sua condizione, dall’altra gli atteggiamenti di paura e le ambivalenze dell’ambiente che interferiscono con il suo grado di autonomia potenziale, raggiungibile pur nella situazione di svantaggio. Spesso i genitori, ma anche la gente in genere che il bambino disabile incontra, talvolta gli stessi operatori e insegnanti, sviluppano nei suoi confronti un atteggiamento assistenziale e protettivo che ne limita l’acquisizione di indipendenza. Sembra quasi che si voglia compensare con maggiore affetto e atteggiamenti più permissivi il disagio per il deficit e quindi si eccede in coccole, o che il bambino venga complessivamente ritenuto incapace e quindi bisognoso di assistenza e di qualcuno che operi al posto suo in ogni occasione. Così ad esempio si è più permissivi o non si censurano comportamenti inadeguati o ancora ci si sostituisce a lui anche quando questo non sarebbe necessario in una sorta di “esplosione di incapacità”. Tra coloro che si occupano di disabilità intellettiva si è fatta però strada in questi anni la sempre più radicata convinzione dell’importanza dell’educazione all’autonomia per lo sviluppo di una persona con disabilità e per il suo inserimento sociale e lavorativo. Un adolescente con SD fa fatica ad essere riconosciuto tale e spesso l’opposizione tipica di un adolescente che vuole staccarsi dall’adulto (“non voglio uscire con voi”) viene percepita come “patologia”. Per questo è indispensabile promuovere un’autonomia intesa come “saper fare” le cose da solo, ma anche percepirsi grande (“saper essere”). È necessario considerare che “autonomia” non è fare tutto da soli, ma è integrare le proprie competenze con quelle degli altri. Vuol dire quindi assumere nuove abilità, ma anche la capacità di chiedere aiuto e la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse. Diventare grandi è un fatto anagrafico ormai ineludibile per le persone disabili, ma è anche il frutto di un riconoscimento, “sentirsi grandi perché si viene riconosciuti grandi”. Questo processo interroga noi tutti sulla coerenza dei gesti e delle aspettative. Questo consentirà loro di diventare “adulti semplici”, a volte molto semplici, ma non più bambini, e di predisporre per loro risposte a bisogni adulti: casa, occupazione, affetti.
Coordinatrice nazionale Associazione Italiana Persone Down